— In itinere —


IN ITINERE 

Book editore , 2003, pag. 73

Collezione di poesia "Tabula rasa"

a cura di Massimo Scrignoli 


Chi è Massimo Scrignoli



Chi è Rossano Onano

Prefazione

Non capisco perchè la poesia necessiti di un prefatore: si tratta, in fondo, di una attestazione di sfiducia verso la parola; come se questa non possedesse evidenza emotiva e razionale, necessitasse di un padrino per nascere e farsi accompagnare nel mondo. Penso che Paolo Barbagli, medico e poeta, si sia rivolto a me per comune militanza nelle lettere e nella professione. L'autenticità, sempre dovuta, a maggior ragione gli spetta: dirò quindi che la sua poesia sollecita la mia attenzione non tanto sotto il punto di vista del linguaggio (faccenda su cui la mia competenza è assolutamente dubbia) quanto dal punto di vista del vissuto dello scrivente, e della fenomenologia sottesa della vita intrapsichica e relazionale.

Questo, nel caso di Paolo, non da oggi. Ero rimasto al suo volume dell' '87, "Liturgia dell' attesa", scritto per la gloriosa Forum di Giampaolo Piccari. Ogni attesa ha un proprio rituale, appunto una propria liturgia; ancora: ogni attesa implica un rapporto duale, fra soggetto desiderante e oggetto desiderato. E non cambia nulla, come fenomeno, se in luogo del desiderio si giocano i sentimenti dell' avversione, o della paura. Ciò che conta, è che l'attesa non è mai un avvenimento esclusivamente intrapsichico: implica la relazione con una realtà fuori di sè, non così lontana da essere estranea, ma neppure così vicina da essere facilmente posseduta. Quale fosse l'altro da sè da attendere, sotto forma di una scrittura razionale ma tensiva, è facilmente intuibile; quando anche Fanny Monti, in prefazione, parlava di "fede, non importa se rasserenante o problematica", come fuoco necessario attorno al moto orbitale dell' esistere.

Il quale moto dà, viceversa, qualche volta l'impressione di procedere per salti: propone situazioni nuove, ci sorprende, induce posizioni che pensavamo estranee alla nostra ottica esistenziale. Infatti, ritrovo Paolo Barbagli oggi, "In itinere", ed il suo mondo interiore sembra profondamente cambiato. E' scomparso il rapporto duale e tensivo tra Io e mondo fuori di Sè, fra soggetto desiderante e realtà assoluta desiderabile e infatti desiderata. Paolo, un po' sbigottito, ne è talmente consapevole da affermare, nella traccia di lettura, di assestarsi nella "terra di nessuno che sta tra la parola e i suoni, dove non regna nè l'intelletto nè la pura emozione"; in questa terra, deprivata dei parametri orientativi dello spazio e del tempo, è possibile abitare i propri esclusivi "ritmi interiori", addivenire a "piccoli e grandi assoluti, vere e false certezze". In termini di psicologia clinica, significa che la scrittura cessa di essere nevrotica (rapporto dialettico, appunto perchè fortunatamente sofferto, fra Sè e l'altro da Sè) per diventare psicotica (abitazione della vita psichica, entro la quale la verità è cercata escludendo il rapporto transitivo, e la verifica, con l'altro da Sè).

Fra suono e parola, fra percezione emozionale ed espressione intellettiva, è collocato il cervello "elaborante". Abitarlo, significa occupare la tabula rasa dove la percezione non è più traccia impressa dalle cose, e la parola non è ancora comunicazione verso il mondo.

Significa, dunque, collocarsi all' interno della propria vita psichica, in una dimensione che è, nello stesso tempo, vera e fittizia. Vuole dire, da una parte, raggiungere la propria dimensione intima, e autentica; dall' altra, rimanere immersi in una sfera che, nel momento dell' elaborazione, è talmente originale da non essere esportabile. Il rischio, su questo versante, è l'approdo al pensiero autistico patognomonico della schizofrenia. Così, ogni poeta vive, in stretta successione temporale, due momenti fortunatamente contraddittori: è schizofrenico nel momento in cui, creando, perviene alla propria identità; è homo faber (fabbrica, e soprattutto esporta il proprio lavoro) nel momento in cui stende, materialmente, la propria poesia sopra il foglio. Così, ogni scrittura è, contemporaneamente, atto di morte del poeta , e certificato di ri-nascita dell' uomo.

Io non so se Paolo Barbagli condivida: eppure, nella silloge pulsano in modo strettamente successivo la sistole dell' immersione in Sè, e la diastole dell' offerta agli altri. Abita il luogo vero e fittizio dell' interiorità ("Un luogo di parole, / un luogo immaginario / è più vero / di qualsiasi altro, / logos incendiario / e purulento / e gravido di materia greve / per ciò che è più reale, / il pensare inespresso ..."); salvo riscuotersi, alla fine, nella poesia espulsa da Sè, consegnata al foglio ed al prossimo ("Non sono più un poeta / nè forse lo sono mai stato / il poeta dalle parole incantate / assise là dove non giungono / altre parole / io sono stato uno scriba ...").

Essere scriba (faber), appunto: significa morire alla poesia, e nascere alla vita di relazione. Essere sempre poeti non è possibile; e, soprattutto, non è neppure desiderabile. La poesia è vita solo quando la si esporta. La differenza fra linguaggio schizofrenico e poesia non è formale, ma riguarda soprattutto la consapevolezza: che il poeta possiede e trasmette, di essere immerso nel mondo vero e fittizio della pura elaborazione, per brevi momenti rarissimi e privilegiati. Lo schizofrenico ha perso, purtroppo per lui, questa consapevolezza: al punto, che la poesia solitamente non gli è data; oppure, se è data, fa male, perchè contribuisce a racchiuderlo maggiormente nei limiti perfetti e soffocati dell' immaginazione autistica. Noi, al contrario, desideriamo sempre risvegliarci: per essere scribi grigi e poco fascinosi, ma appunto disponibili agli altri. E' anche questo che volevi dire, Paolo ?

Rossano Onano




... il poeta è impegnato su confini della coscienza oltre i quali le parole non bastano più, sebbene un significato esista ancora. A lettori diversi una poesia può dire cose molto diverse, che possono tutte, a loro volta, differire da quel che l'autore aveva creduto di esprimere.... Anche se diversa da quella del poeta, l'interpretazione del lettore può essere egualmente valida e perfino migliore. Una poesia può racchiudere assai più di quanto l'autore sia consapevole di averci messo.

Thomas S. Eliot ("Sulla poesia e sui poeti")



Condannati dal minimalismo contemporaneo a non dire nulla che non sia provvisorio ed indefinito, all'affermazione negativa insomma, anche la poesia non può sfuggire a questa regola; impossibilitati a dargli una qualsivoglia definizione che non sia esautorata fin dall'inizio di ogni autorità, e comunque destinata ad essere immediatamente contraddetta, ci possiamo solo ritirare in una sorta di terra di nessuno che sta tra la parola e i suoni, dove non regna nè l'intelletto nè la pura emozione, e non vi sono canoni tranquillizzanti da seguire o da esorcizzare, ma solo ritmi tutti interiori e forse nemmeno comunicabili.

Qui lo spazio ed il tempo non hanno diritti, tutto, e quindi nulla, è possibile, un luogo privo di luoghi ed incommensurato. Solo in una tabula rasa come questa possono trovare posto dei e Dio, piccoli e grandi assoluti, vere e false certezze, mutevoli abbrivii in itinere.


PREMIO NAZIONALE DI POESIA

"ASTROLABIO 2008/9"

(3° edizione del Terzo Millennio)
dedicato alla memoria di Renata Giambene
presieduto e diretto da Valeria Serofilli

Verbale di Giuria


La Giuria del Premio "Astrolabio 2008", Mauro Ferrari (poeta e direttore Ed. Puntoacapo), Ivano Mugnaini (scrittore e critico letterario), Giulio Panzani (poeta e giornalista), Andrea Salvini (antichista) e Antonio Spagnuolo (poeta e direttore della rassegna telematica Poetry-dream) a seguito di un'attenta valutazione ha stilato la graduatoria definitiva relativa agli oltre 250 lavori pervenuti nelle quattro sezioni:
PRIMA SEZIONE: VOLUME DI POESIA (93 partecipanti)
1° Classificato
Margherita Rimi, La cura degli assenti, Lieto Colle Edizioni, Faloppio (Como), 2008.
2° Classificato
Gabriella Bertizzolo, Argonauta, Marsilio Elleffe, Venezia, 2007.
3° Classificato
Dante Goffetti, Riflessi e transizioni, I Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme (Bo), 2007.
4° Classificato
Lorenzo Gattoni, Misure di vuoto, Joker Edizioni, Novi Ligure (Al), 2008.

Finalisti pari merito


Lucianna Argentino, Diario inverso, Piero Manni Editore, San Cesario di Lecce, 2006.
Paolo Barbagli, In itinere, Book Editore, Castel Maggiore (Bo), 2003.
Letizia Dimartino, Oltre, Archilibri Poesia, Ragusa, 2007.
Michela Massei, Amorami, ArtEventBook Edizioni, Perignano (Pi), 2008.
Fabio Troncarelli, La felicità lontana, Edizioni Lepisma, Roma, 2007.


Premiazione 

Premio "Astrolabio" 2008

Pisa, sala delle Baleari 

18.4.2009

RECENSIONI E SCRITTI CRITICI


... i risultati sono davvero esemplari

Giorgio Bàrberi Squarotti (lettera del 21.2.2003)


.... ho subito letto con particolare interesse e impegno In itinere. La Sua poesia è persuasiva e viva: parte da un'occasione rapida per arrivare ala riflessione e al concetto, di testo in testo sempre più piegando verso l'ansia, la malinconia, il tragico, con risultati davvero egregi. I testi da L'alfa e l'omega in poi, in particolare, sono bellissimi, esemplari, anche come ritmo essenziale e perfettamente scandito.

Giorgio Bàrberi Squarotti (lettera del 9.2.2003)


Caro Paolo, mi hai fatto un regalo straordinario: ... una raccolta lirica, nuova, ricca di pensieri in un linguaggio altrettanto prezioso e che potenzia la parola del pensare grazie alle finezze che fanno la poesia. La tua forte poesia di oggi, Paolo, in cui corrono realtà del vero divenute interrogazioni; interrogazioni, però, dominate.

E' chiaro che ho letto "In itinere"; l'ho letto e riletto anche per un bisogno di impadronirmi appieno delle tue immagini che amano una sorta di sintesi oltre la semplice parola.

Ed è proprio la contraddizione tra il senso del limite che contraddice l'uomo e la sua sensibilità che è limpida cognizione dei termini assoluti a conquistare a fondo la tua poesia.

Così almeno io ho sentito: forse sbagliando, ma, vedi, tale è la densità. anche variegata, della tua scrittura che non si può non godere dei diversi momenti creativi, quasi lasciando al poi (o lasciando del tutto) il quid rigorosamente analitico.

Caro Paolo hai tutta la mia ammirazione...

Fanny Monti - critica letteraria de "Il Resto del Carlino" - (lettera del 10 marzo 2003) 



Paolo Barbagli: In itinere
Book editore 2003, pag. 80,€ 10,50

Nella prefazione Rossano Onano acutamente suggerisce : "...propone situazioni nuove, ci sorprende, induce posizioni che pensavamo estranee alla nostra ottica esistenziale. Infatti...è scomparso il rapporto duale e tensivo tra Io e mondo fuori di Se, fra soggetto desiderante e realtà assoluta desiderabile e infatti desiderata....", mettendo in risalto la pregevole capacità dell'autore nell'offrire temi e figurazioni all'interno di uno scavo psicologico attento e provocatore.

"Vorrei essere finalmente pensiero
assenza aliena
alla greve ossessione materiata
vorrei essere sola volontà
desiderio senza oggetto
movimento solo senza moto..." (pag. 38).

Versi che lasciano un segno travagliato, perchè si esaurisca il destino umano nelle sue molteplici ferite, o nella insondabile ed altera dignità dell'esistere. Un verso pregno di inaspettato conforto nell'impaccio del malizioso motivo della insoddisfazione quotidiana.

Nel mentre avverso la tensione, protesa verso il tempo che trascorrerà senza riguardi:

"Mi vestirò con colori di seta
per venirti incontro
e quando a sera
svanirà il tepore del giorno
che non sembra trascorso
metterò il maglione pesante
quello nuovo
e le calze lunghe di lana.
Sarò pronto
per venirti incontro..." (pag.69).

Gli spazi liberi e luminosi della fantasia diventano cronaca dell'illusione e fascino della poesia, così come il registro viene ricondotto a brani di racchiusa totalità del sentimento di vivere, specchio che possa riflettere l'intera immagine del visibile, anche quando ciò possa ricadere:

"La pace che vorremmo
non è nemmeno
il sole immobile d'autunno
su lapidi e volti
invariabili sorrisi
finzioni d'anime in tumulto
che il silenzio non copre." (pag.61)

L'ascolto può camminare riconducendo il viaggio agli affanni o agli inaspettati cieli di distanze, nel mentre il verso abita ammiccamenti e origina parole poetiche dalla propria personale andatura.

ANTONIO SPAGNUOLO 18 febbraio 2003 

IN ITINERE - Iudicaria n. 52 (aprile 2003), pag. 110 -

 di Graziano Riccadonna

"Si fece il baratro/fu d'improvviso/una vergine parola rinvenuta/richiamata dal vuoto che era/alla vita del tutto/un suono del pensiero fra i tutti/possibili."

Si apre così la nuova silloge poetica "In itinere" per la Book editore del dottor Paolo Barbagli, non nuovo per la verità a simili esperienze letterarie piuttosto impegnative. Infatti, il noto professionista rivano, impegnato da tempo con gli "Amici della Terra" in battaglie protezionistiche e ambientali, ha già pubblicato vari volumi di poesie. "Indifferenze" nel 1978, "Liturgia dell'attesa" nel 1987, collaborando alla rivista specialistica "Quinta generazione" e figurando in alcune importanti antologie: "La doppia dimenticanza-poeti della sesta generazione" e la "Poesia nel Trentino-Alto Adige", oltre che nel saggio critico di Simonetta Ventura "I luoghi dell'incontro" (1998).

Una passione, quindi, che viene da lontano, dai lontani anni universitari e che si è sviluppata in anni recenti. "Ma non sono tipo da mettermi in mostra ! - si schermisce il dottor Barbagli quando gli facciamo notare che a Riva e in zona nessuno ne sa nulla della sua passione segreta. - "E' una passione che coltivo da tempo, ma che appunto ha bisogno di silenzio e di raccoglimento, più che di essere gridata ai quattro venti o propagandata. E' una passione che coltivo, naturalmente accanto a quella per l'ambiente..."

La poetica del dottor Barbagli si avvicina alla corrente minimalista, niente titoli alle poesie, naturalmente niente rima, frammenti poetici che si richiamano al tutto, pur partendo da pensieri sparsi e brevi riflessioni sull'esistenza e il nulla:" Tu luce e giorno/dei miei giorni notturni/calpesti il mio tempo/senza toccare terra/tu sei ciò che io non sono/esistenza e cosesistenza/nulla, tutto".

Appare qualche mozzicone di autobiografia, come nelle poesie allo zio Italo oppure le riflessioni al cimitero del Grez, ma nel complesso l'ispirazione poetica sorvola su questi particolari.

La dotta prefazione di Rossano Onano, chiarisce almeno una cosa: la difficoltà ad esprimere il proprio mondo interiore scongiurando il duplice pericolo del solipsismo autistico e dell'impossibilità di comunicare agli altri i propri stati d'animo. Difficoltà che veramente attanagliano tutti i poeti, ma che in Paolo è particolarmente vissuta nel tormento: un medico che scrive, lo si sente nella dialettica sistole-diastole, contrazione-offerta di sè agli altri, ma anche questo fa parte dell'ispirazione: ..."In principio era il vuoto/poi fu, indistinto,/il pieno pneumatico..."

g.r.

9.3.05

RUBERO'

Sto leggendo, per il lavoro che andavo a fare ieri, un libro di poesie di Paolo Barbagli, intitolato "In itinere" (Book editore). Mi sembra piuttosto bello. Alcuni testi, o frammenti di testi, si confanno molto al lavoro che sto facendo.

"Un luogo di parole

un luogo immaginario

è più vero

di qualsiasi altro...

Ognuno ha i suoi morti

che non sono morti

sono ricordi..."

Penso che ruberò parole.

Giulio Mozzi

(www.giuliomozzi.com/2005/03/09 - letto l'1.2.2010)



"IN ITINERE" - Book Editore, 2003

VINCITORE DEL PREMIO NAZIONALE DI POESIA "ALESSANDRO CONTINI BONACOSSI" - 10. Edizione 2004 - Villa di Capezzana (PT)

Giuria: Giorgio Poli (Presidente); Valentina Contini Bonacossi; Donata Scarpa Di Zanni, Tita Paternostro.

Motivazione

Qui la parola è prossima a quella pronuncia assoluta e rarefatta che è il sogno di ogni poeta vero, in quanto ricerca del senso ultimo delle cose. il titolo stesso allude opportunamente ad un pensiero poetante mobile e inquieto, intento ad inseguire "per sorprese parole" le tracce dell'essere nell'umano esistere




"In itinere" lo sto leggendo con lentezza quale giustamente è dovuta alla poesia, e alla poesia "breve" in particolare - spesso infatti la brevità (che è caratteristica nelle tue poesie) nasce da una complessità che si è concentrata in pochi versi. Mi sono piaciute subito le poesie "familiari" (una per tutte "Epigrafe") e anche quelle "pensose" sul dualismo corpo - anima (o meglio peso - leggerezza).

Dai versi vien fuori una capacità musicale immediata che mi ha subito colpito.

Gian Citton





Un senso di smarrimento dell'Uomo di fronte alla mutevolezza della realtà contemporanea permea la raccolta "In itinere" di Paolo Barbagli, una dichiarazione programmatica dell'inadeguatezza dello stesso verbo poetico a dare ordine a un mondo cieco e insensato. Lo sbigottimento del poeta - e uomo - trascolora quindi in volontà di fuga da sè (vorrei essere sola volontà / desiderio senza oggetto / movimento solo senza moto) , dissolvimento (Io sono qui / ma non sono / qui / io sono dove non sono / mai stato. E ancora, Vorrei essere / dissolto / nello spazio nulliforme) o improvvisi inni di libertà (Talvolta, come ora, / l'ora mi è leggera).L'esperienza dell'autore, medico specializzato in Terapia del Dolore, si condensa dunque nei nuclei tematici che fanno da perno alla sua poesia: la caducità dell'esistenza umana, il ripiegarsi nel proprio Io, visto come rifugio da una quotidianità ostile, il senso di meraviglia di fronte al miracolo della Vita e della Natura. Tematiche dunque squisitamente novecentesche, che hanno popolato la produzione di moltissimi autori, magari lontani per scelte formali ma accomunati da un lacerante disagio nei confronti di un mondo avverso e doloroso, uno su tutti il Montale del male di vivere.Paolo Barbagli ci regala un tono sommesso e intimistico, che incanta e contemporaneamente amareggia: io voglio rimanermi / in silenzio in disparte / sopra tutto, sopra anche / alle mie stesse parole disabitate. / Io voglio che il mio pensiero pensi / e parlino le mie parole scorticate.

Sara Clementi (Poeti e Poesia n. 8, 2004, pag. 104-105)



PREMIO "TRA SECCHIA E PANARO" 

 (X Edizione) - Modena 6 giugno 2004

Premio Presidente della Giuria sez. EDITI

PAOLO BARBAGLI - IN ITINERE

"Il poeta peregrina dentro e fuori di se stesso e ad ogni portone depone un sasso pieno di versi, per far sapere che la vita è poesia. Emozioni che tutto possono, senza limiti, come colori nell'universo, come antiche parole che solo chi ha un animo sensibile può scoprire."





Con una terza raccolta di poesie dal titolo "In itinere" Paolo Barbagli, poeta di Riva del Garda, si presenta al pubblico dopo "Indifferenze" del 1978 e "Liturgia dell'attesa" del 1987. Sembrerebbe che di mezzo ci sia stato un lungo silenzio creativo; invece Barbagli è stato attivo in riviste, antologie, saggi e sempre là dove la poesia poteva essere lume del pensiero e ricerca di verità.

Basterebbe per fare una sintesi riportare i pochi versi della composizione che intitola l'ultimo libro: "L'insoluto / è là e di là / inaccesso si propaga / frammenta dilaga dilata / ogni conoscenza non muta / l'imperscrutabile è dovunque / la mente percorre la strada".

Su queste poesie si sono già espressi favorevolmente, tra gli altri, Bàrberi Squarotti, Ruffilli, Monti e Spagnuolo. Singolare risulta invece la prefazione di Rossano Onano, il quale, dopo avere assiomaticamente affermato che l'intervento di un prefatore in un libro di poesia è "attestazione di sfiducia verso la parola", si dilunga in una interessante interpretazione psicodinamica, peraltro legittima, della produzione poetica di Paolo Barbagli. Premesso che la propria attenzione non è tanto al linguaggio quanto al vissuto del poeta, Onano si dimostra preoccupato perchè ritiene di cogliere nel nuovo libro un passaggio creativo da benefica psiconevrosi di un approccio duale, desiderio o avversione che sia, ad una immersione intrapsichica , vera e insieme fittizia, molto affine alla schizofrenia. Anche se poi "ogni scrittura è, contemporaneamente, atto di morte del poeta e certificato di nascita dell'uomo".

In effetti nell'ultimo Barbagli c'è in ogni pagina l'uomo, l'uomo postmoderno della società complessa che si muove a fatica in un mondo pieno di incertezze e di ambiguità. Il linguaggio è talora semplice, talaltra si offre in desueti lemmi per iniziare gli argomenti del mistero, l'inspiegabile ed insieme la meraviglia del vivere.

Ed ecco "così noi pasturati nell'ignoto esistere" alla ricerca della felicità dell'altro nel pieno giorno; ecco le agavi "nell'aria molecolare, / a maturare / incontrollate meraviglie"; ecco il Dio, la natura, i molti padri intorno ai quali "ho atteso e attendo le parole / che parlano".

In un recente volume che raccoglie saggi e scritti del filosofo Gianni Vattimo risalenti all'ultimo decennio (Nichilismo ed emancipazione, Garzanti) si affrontano, tra i vari temi, anche quelli dell'ermeneutica, del pluralismo non soltanto interpretativo, della verità, passando attraverso indifferenza e mortalità. Ebbene, in molte composizioni poetiche di Paolo Barbagli tali temi vengono certamente toccati ed a volte ripetuti. Pensiero e verità, si accennava all'inizio di questa nota. E non a caso la poetica barbagliana si presenta con una citazione ermeneutica di T.S. Eliot, tratta dalla pubblicazione "Sulla poesia e sui poeti": a lettori diversi diversa interpretazione, perchè "una poesia può racchiudere assai più di quanto l'autore sia consapevoloe di averci messo". A pag. 21 la ricerca si fa scavo e richiama Karl Popper e la sua falsificabilità di ogni sceinza: "Io che ho voluto / scavare nella vita / ...nella vita del sottosuolo / brulicante d'incerti lacerti /, / di mezze verità inverificate vibro / e mezze verità da falsificare". E più avanti (pagina 29): "Vorrei essere / ... solo pensiero / che vive penetrando / i gradini difformi / le soluzioni irrisolte / le fantasticherie dissolute"; ancora in quarta di copertina si affianca al pensiero una "volontà / desiderio senza oggetto".

Allora i luoghi del poeta sono tanti e nessuno, ma sempre là dove nascono e si muovono le parole, dalle più impazienti alle più pudiche, a creare un "interminabile giorno / di parole" colo loro candore primigenio di verità. Il poeta distilla e lievita piccoli segni, veste le parole "scritte nel buio / fosforescenti alla notte / la sana notte bianca" e scrive persino preghiere "da non pregare" al "Dio della parola e del silenzio", rianima la vita, è sempre pronto per una nuova vita con tanti "desideri fumanti / dalla terra arsa / da questa siccità senza pensieri".

Mario Benatti (La Cittadella, 29 giugno 2003, pag. 19)



Condivido l'ermeneutica di T. S. Eliot e mi piace anche il possibile "luogo privo di luoghi", riferito alla poesia.

Di quel po' che ho velocemente affrontato mi ha particolarmente colpito la "Preghiera da non pregare" (pag. 63), ma anche le poesie delle pagine 66,67 e 69 mi sono molto piaciute. Il libro è editorialmente bellissimo.

Mario Benatti (lettera del 5.4.2003)



Gentile Paolo Barbagli, potrei chiederle la cortesia di farmi avere il Suo libro "In itinere" giustamente premiato ?

Alberto Caramella (Fondazione Il Fiore, Firenze, 27 settembre 2004)




Caro Paolo, ....piena conferma di sintonia anche nella forma scarna e verticale dei versi (io non uso punteggiatura, tu non la usi quasi), nella ricerca continua sul senso della poesia e della parola (io vi sono molto affezionato, sin dal primo libro mio che uscì nel 1980), nello spessore spirituale che si avverte nei tuoi versi e nei temi che adombri.

Tra le altre, mi è piaciuta molto la poesia di pag. 27, che è un po' un tuo manifesto (puoi confrontarlo con "La mia misura" in "Io e noi"): "il poeta non vede che piccole cose nascoste", è proprio così. In una mia poesia del 1978 (pubblicato in "Non tacere", Rebellato 1980) io dicevo da parte mia "Amici, / se mi chiedeste / che cosa sto cercando / vi direi / che è una cosa / piccola e nascosta".

Gianni Gasparini (email del 28.9.2004)



La simbiosi di dualismo e dualità

Lettura angosciante e fortemente ossessiva quelle delle 70 composizioni di Paolo Barbagli, tutte contenute tra i nove e i diciassette versi liberi, oscillanti, come avverte l'autore, tra "mezze verità inverificate" e "mezze verità da falsificare". Il lettore, coaptato, fin dalle prime liriche da un gioco di immagini tradotte in parole che come lusinghe lo inducono a seguire il percorso intrapreso, sente svanire tutte le certezze sperate come vaghe fluttuazioni disperse nell'azzurro, di cui permane nell'animo una intensità espressiva e linguistica tutta mallarmiana. Il filo d'Arianna è in questo viaggio, "in itinere", l'esasperante simbiosi tra dualismo e dualità, uno strumento non solo di vocazionalità poetica, ma soprattutto di ricerca e di conoscenza esperenziale di vita. Capita, perciò che anche una sola parola, "vergine", nel baratro improvviso spalancato dinanzi all'essere, richiami un pensiero che, fra tutti, è l'unico possibile. Perchè possibile, siamo indotti a chiedere ? Il poeta non concede risposte, fedele alla consegna iniziale di "non scelta"ed il cammino continua, irreversibile e pieno di sofferenza tra ciò che è e ciò che potrebbe essere, tra i due volti della realtà e le nostre personali scelte che non possono fare a meno di tener conto del dualismo crudele del reale, che ci costringono a vivere in una perpetua condizione di dualità, senza alcuna speranza di conquistare un'unica, sola, appagante verità che, forse, potrebbe salvarci.

Pinella Musmeci (Le Muse, anno III, giugno 2004, pag. 44)




Quarantanovenne, medico specializzato in Anestesia, Rianimazione e Terapia del dolore, a Riva del Garda dove è nato nel 1954, Paolo Barbagli è alla sua terza raccolta di poesie. Esordì a 24 anni con Indifferenze (Roma, 1978), una decina d'anni dopo Liturgia dell'attesa (Forlì, 1987), e ora questo In itinere con la Book Editore di Castel Maggiore (Bologna). Rossano Onano, medico come Barbagli, nella sua peraltro penetrante prefazione ci propone alcune considerazioni che possono essere accettate a mio avviso solo parzialmente, condizionate come sembrano da una componente di "deformazione professionale" al limite fuorviante per la comprensione di un'opera di poesia. Scrive Onano che in questa raccolta di liriche "è scomparso l valore duale e tensivo tra Io e mondo fuori di Sè, tra soggetto desiderante e realtà assoluta desiderabile e infatti desiderata". In effetti - a mio avviso - questo valore "duale e tensivo" non è scomparso: ha solo maturato un ritmo diverso, rallentato, all'insegna del "torpore dimidiato", dell'"essere pigro", dell' "immobile febbre". Su questo versante Barbagli mi pare esplicito quando scrive: "Elogio ogni lentezza / che approssima l'essere / fermo absoluto / dai vincoli del movimento / coatto ...". Ed anche il rischio dell'autismo (di cui parla Onano quando dice "il rischio, su questo versante, è l'approdo al pensiero autistico pantagnomico della schizofrenia") mi pare esorcizzato dal poeta se scrive una lirica in cui le parole si affollano all'alba "si accalcano esigono udienza / vogliono la vita / del pensiero della voce / nella carta segreta / del poeta ...". Anche se Barbagli scandisce le sue parole in "un tempo senza tempo", anche se ci dice "vorrei essere sola volontà / desiderio senza oggetto / movimento solo senza moto. / Io sono qui / ma non sono / qui / io sono dove non sono / mai stato" rimane nonostante tutto l'esigenza di un linguaggio che non sia chiuso, autoreferenziale, afasico, ma un bisogno di colloquio con se stesso e con gli altri, con le emozioni, le cose, la natura. Rivelatrici mi sembrano in questo senso, le immagini che si riferiscono all'acqua, di questo poeta che è nato e vive sulle rive del più bel lago italico, in versi che sono lontanissimi dal colore ambientale, turistico, ma si elevano a metafore esistenziali. L'acqua è quella sospesa nel pulviscolo ambientale "al vetro bagnato d'aria mattutina"; è quella dei "brillii d'acqua animata in controluce"; e "l'acqua impotente, "l'acqua pulviscolata" (immagine ripetuta); "il pensiero dell'acqua"; "l'acqua lago di emozioni". Da che cosa questa "ossessione acquorea" di Barbagli ? Sappiamo tutti quanto contino nella vita di un uomo - tanto più nella vita di un poeta che porta nel suo DNA l'ipersensibilità - gli imprinting, le emozioni infantili, il patrimonio genetico delle generazioni passate, il respirare in un ambiente che è quello, per tutta o quasi la vita. Impossibile - se l'autore è autentico, vale a dire che non clona modelli estranei - che tutto questo non lasci un'impronta ineludibile, che non legga la realtà nell'ambiente in cui è stato chiamato a vivere, ha deciso di vivere, che non tragga da quelle realtà le sue metafore per interpretare il mondo. Registrare criticamente tutto questo significa, allo stesso tempo, registrare l'autenticità di un autore. L'altra componente imprescindibile da un poeta come Barbagli è la sua condizione di medico anestesista, rianimatore e terapista del dolore. Barbagli è un uomo che per la professione che si è scelto si deve confrontare quotidianamente con la sofferenza e con la morte. E' una condizione non sappiamo se privilegiata o "coatta"; in ogni caso è un luogo di osservazione che in ogni giorno, in ogni ora del giorno, ti costringe a confrontarsi con la pena dell'esistenza còlta nel suo acme, ti costringe a meditare sulla precarietà della vita, ti obbliga a guardare negli occhi la fine della vita: al fine dell'esistenza "negli occhi di vetro del morto".

Renzo Francescotti (Il Cristallo, anno XLV, n. 1 aprile 2003, pag. 141-2)



Paolo Barbagli: "In itinere" gli equilibri dello sguardo

In un viaggio rarefatto e sospeso, privo di enigmi e di filamenti eccezionali, senza raggi improvvisi o invisibili fibre di vago amore, Paolo Barbagli ("In Itinere", pp 73, Book Editore, Bologna 2003), cerca la vita attraverso una possibile poesia. Nel suo rapporto, anzi percorso della curiosità, la parola s'interroga devota a se stessa, evitando godibilità particolari, pieghe di astuzia liricistica, moine che potrebbero fare gola a certi romantici ultima maniera, anzi presenti in più prati ed aree dell'Adesso. Nel lavoro, (poetico) non dirama stati di senno inverosimile e neanche tenerezze risapute, ma una ricerca del Tempo e dello Spazio in cui si addentra - non privo di febbre o dopo che accade - qualcosa di nuovo nel medesimo immaginario comunque espresso. Infatti "L'insoluto / è là e di là / inaccesso si propaga / frammenta dilaga dilata / ogni conoscenza non muta / imperscrutabile è dovunque / la mente percorre la strada" (In itinere, p. 59). La sua ricerca si affida all'angelo del naturale per scoprire "il silenzio", ciò che ci appartiene e ciò che diviene ricordo "nebuloso", insensatezza dell'umano, mistero immanente, regola del dire, dubbio difforme e discreto. Sono tante le ragioni del poeta e le leggibili rifrazioni che completano i suoi incanti e disincanti, la luce delle stagioni, il batticuore dell'emotività, il moto e l'immoto del suo vissuto. Attraverso una scrittura au ralenti, l'elogio alla lentezza (sic), gli unisono delle diverse scissioni e fasi labili del nostro mondo, regolano il preciso discorso della fluenza lieve. "Il poeta / distilla e consuma / l'ipertrofia della vita / il poeta / distilla e lievita / i piccoli segni / ogni stilla matura / del sottosuolo / il poeta non vede / che piccole cose / nascoste..." (p. 27). Dove la materia si rigenera sulle anticipazioni che Paolo Barbagli fa della propria essenza esistenziale e di essa pronuncia - in embrioni - forme del gioco e della volontà scritturale. Nel logos essenziale, la ragnatela (senza minute acrobazie nel vuoto) costruisce una labile altalena da offrire all'aria in cui agisce o si inseriscono gli spostamenti dell'occhio, e non per ripararsi dai pericoli, nè in attesa di qualsiasi fine della voce, in ogni ora "lunga e paziente". Un resoconto abitato da un'insinuante serie di morbidi intrecci, appoggiati alla spontaneità di perpetuare nel nostro microcosmo la spiegazione della solitudine collettiva, ogni "percezione immobile", le sorprese degli eventi diffusi, le forme di un racconto che, sebbene possa dirsi sgretolato, imita il cielo e la terra imperscrutabili. Le soste sono innumerevoli ma, il jamesiano "giro di vite" dentro cui stringe i contenuti, i vincoli della conoscenza, al preghiera a cui affida "corpo e anima", gronda di essenzialità, fruga per interrogarsi su una responsabilità sottile e critica, che intanto potrebbe farsi per fiotti vaporosa e invece si mostra sapienziale e segreta; conosce della Cosa tutti i rischi, si ripete quasi per incontinenza e "parole scorticate" che - ininterrottamente - salvano il sogno dalla dimessa vita, così come da possibili abusi o false intese poetico - testuali (a "guizzi").

Domenico Cara




E' poesia di meditazione, nella quale si giocano (direi, ossimoricamente, con incisiva levità) temi di grande spessore, quale, in primo luogo, il mistero dell'esistenza. Siamo sempre "in itinere": un "sempre" (anch'esso ossimoricamente) relativo, che trova il suo limite nel traguardo finale verso cui ci dirigiamo e la cui distanza non è preventivata per nessuno. In tale ambito si innestano temi quali la condizione del poeta, l'universo della parola e - tramite questa - la peculiare ricerca di verità che la poesia conduce, con (su) propri parametri.

Alla lettura del reale si accomuna lo scavo (liberatorio) nella propria interiorità, fino a farsi preghiera (come nella splendida lirica di pag. 25).

E tutto è detto, ripeto, con calcolata, rigorosa, semplicità, che rifugge tanto dalle ovvietà quanto dalle alchimie verbali, per farsi immediata e penetrante comunicazione, dialogo con il lettore.

Acuta e sollecitante la prefazione del caro e comune amico Rossano Onano.

Lucio Zinna (mail del 4.7.2003)



... ho letto con interesse "In itinere", .... coinvolto anche da una misura comune (di ritmo, di metro), da una consonanza di tipo esistenziale.... mi farò sostenitore del libro ...

Paolo Ruffilli (lettera del 19.3.2003) 



Ha ragione a definirsi un poeta che non si è lasciato affascinare "dalle parole incantate": ormai siamo un po' tutti in una "babele che cancella /il deficit, la vita". L'importante, comunque, è sentirsi vivi, in itinere. Poi, accada quel che potrà accadere.

Vittoriano Esposito (lettera del 22.4.2003) 



Ho letto con interesse "IN ITINERE", poesia sapida ricca di tuffi emozionali e di commistioni icastiche. Un buon testo, insomma, al quale auguro ogni fortuna.

Antonio De Marchi - Gherini (cartolina del 10.5.2003)



... poesia così cristallina ...

Lucio Pinkus (lettera del 30.4.2014)



...ho sbirciato qualche tua lirica, la cui profondità, e il fatto di situarsi spesso sulla soglia tra la vita e la morte, tra la luce e la notte, connetto alla tua professione... Certo, non tutti gli anestesisti sono poeti. Mi sembra che tu te la cavi più che bene.

Duccio Canestrini ( email dl 30.1.2003)



Sono passati davvero tanti anni da Indifferenze (25 !) e anche da Liturgia dell'attesa (pure questo da me recensito, sulla rivista "Il Sommolago"). Ma la poesia, sebbene troppo spesso stretta negli angoli da mille e mille cose, continua a mettere germogli che aspettano con pazienza. Ho letto quindi In itinere con grande piacere. E' una poesia matura, sofferta, quasi intransigente nella sua nitidezza formale. In essa la necessità di comunicazione più che negarsi (come potrebbe sembrare) appare in qualche modo sublimarsi. E la parola viene messa alla prova, in una esplorazione di se stessa che, bruciato ogni lirismo, vuole veramente "distillare" il senso nascosto delle cose. La poesia, io ne sono profondamente convinta, è sempre capace di dare molto. A chi scrive e a chi legge.

Marta Marri Tonelli ( email del 6.4.2003)




Sedici anni sono una bella porzione di vita, assorbita "In itinere" proprio perchè lungo dev'essere il viaggio, e sempre procrastinata la sua meta. C'è nel Suo libro tutta la poesia di chi la sente urgere in sè e la libera in modo ostinatamente prosaico. C'è l'inevitabile contrasto personale fra appagamento, slanci, ricerca d'una felicità che è stato d'animo favorito dal benessere d'una fiamma (camino, entusiasmo interiore, lucerna per leggersi nel profondo).

Un'ottima, ulteriore prova di bravura a cui auguro - e a Lei - fortunato cammino favorito intendo dalla primavera che viene.

Franco Piccinelli (biglietto del 12.3.2003)


Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia